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Luis Silvio Danuello, il fatal extracomunitario

Anni Ottanta: va di moda il Brasile... forse anche troppo

Nicolò Premoli

Cosa resterà di questi anni ’80? Se lo chiedeva Raf nel 1989. Gli anni ’80 hanno visto l’esordio dei paninari, dei walkmann e soprattutto dei calciatori extracomunitari nel nostro campionato. Suona strano, soprattutto in un’epoca dove in campo si parla più portoghese che italiano, ma fino al 1980 per le squadre italiane non era possibile acquistare extracomunitari. L’apertura delle frontiere determinò la caccia ai migliori talenti sud-americani ma fu accompagnata dall’acquisto di bidoni colossali. Da talent-scout che presero abbagli incredibili.

Pistoiese in Serie A

Facciamo un salto a Pistoia, in terra toscana. A sorpresa gli “arancioni” sbarcano per la prima volta nella massima categoria, nella prima Serie A in cui ogni squadra ha la possibilità di tesserare un calciatore staniero. Parte una febbrile caccia all’uomo, una sorta di sfida al miglior acquisto: tra gli altri arrivano Falcao a Roma ed Enèas a Bologna. La Pistoiese è una squadra di provincia, ma al contempo è piuttosto ambiziosa: il presidente vuole regalare ai tifosi la salvezza e un campionato dignitoso. L’acquisto di un brasiliano pare quindi essere un must anche in terra toscana.

Il fascino dell'esotico

Danuello chi?

Malavasi torna in Italia tanto abbronzato quanto entusiasta confidando di aver trovato un piccolo fenomeno. Il suo resoconto convince il presidente che sborsa una piccola fortuna per portarlo a Pistoia: 170 milioni convincono (e ci mancherebbe…) il Palmeiras, che aveva spedito il ventenne in prestito al Ponte Preta, a cedere il giocatore. Danuello prende il volo per l’Italia sullo stesso volo di Falcao: l’entusiasmo a Pistoia è palpabile, si carezzano i primi sogni di gloria, sogni che sono destinati a durare giusto il tempo di un’estate.

Compro una vocale

Alla domanda su quale fosse il suo ruolo Danuello rispose “ponta”. Ponta con la “O” in portoghese significa ala. Tutti però capirono “punta” con la “U” e Luis Silvio, piuttosto minuto (alto 1,62 per più o meno 60 chili), fu spedito in attacco. Inutile dire che il suo apporto, già dalle prime amichevoli, fu vicino allo zero: non aveva il fisico né le doti per giocare in attacco. Ma una “punta” non potrebbe giocare come esterno, no? L’equivoco non si risolse.

La leggenda di Luis Silvio

Danuello giocò sei partite per finire prima in panchina poi nella leggenda (metropolitana). Non era una punta, il suo mestiere era quello di crossare ma tutti se ne accorsero troppo tardi: Danuello fu accantonato e non vide più il campo. A Pistoia iniziarono a circolare le voci più disparate e incredibili: c’è chi sosteneva che lavorasse in un piccolo chiosco vicino allo stadio e non fosse nemmeno un calciatore, qualcun’altro giurò persino di averlo visto in un film a luci rosse. Il brasiliano travolto dalla saudade pensò bene di fuggire in Brasile appena possibile lasciando Pistoia alla Serie B; tornò l’anno successivo ma il contratto fu strappato e il giocatore scaricato: la fine della “favola” di Danuello. Nel 2007, forse stanco delle voci non troppo gratificanti che riguardavano la sua persona, Luis Silvio rilasciò un’intervista alla Gazzetta spazzando via tutte le leggende sul suo conto. Disse di aver terminato la sua carriera da calciatore in Brasile e di aver aperto una piccola azienda nel settore dei ricambi di automobili in terra carioca: niente film hard e panini alla salamella nel suo passato.

Il vice-allenatore nel pallone

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