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Da Jardel a Muriel: quando il grasso (non) fa la differenza

Perché la panza (non) è sempre sostanza...

Nicolò Premoli

 Quando c'era Carew non avevo ancora la barba...[/caption] Ricordo ancora la mia prima asta: la meno organizzata ma la più bella. Eravamo in 6 con una sola Gazzetta sgualcita sotto un albero in una calda giornata di fine agosto: nessuno aveva le idee chiare sul da farsi e i nomi su cui puntavo mi erano stati consigliati da un compagno di classe che ne sapeva più di me, il classico "calciofilo" scopritore di giovani talenti. Il pomeriggio passò in fretta tra urli vari, rilanci spaventosi e corse sul prato per inneggiare all'acquisto dell'idolo appena effettuato; sul mio foglio cominciava a delinearsi l'ossatura del mio team, i primi giocatori che mi avrebbero accompagnato in quella stagione: da Nakamura a Zanchetta, da Alioui a Bothroyd per finire all'unico (almeno credo) norvegese di colore che si sia mai visto nel mondo del calcio: l'attaccante Carew. Calò la sera e con la mia due ruote, sulla strada di casa, portai pensieri di grandezza e vittoria. C'era una squadra che tutti (o quasi) evitammo come la peste, come la ragazza racchia e ubriaca in discoteca, e quella squadra era l'Ancona. L'Ancona, provinciale per eccellenza, arrivava dalla promozione dell'anno precedente, da una B dove giocavano ancora squadre del calibro di Cagliari, Genoa e Napoli, dove vi erano ancora 20 squadre. In quella stagione allenava Simoni: riuscì a portare la squadra agli ottavi di Coppa Italia e al quarto posto in B, l'ultimo utile per il sogno della serie A, l'ultimo per inseguire il sogno del Paradiso calcistico, la favola che ogni giocatore di una provinciale vorrebbe vivere. Il 7 Giugno 2003 l'Ancona era matematicamente in A. Passare dalla serie B alla A è un po' come passare dal campo della parrocchia a San Siro e come ogni passaggio importante quello che serviva era un investimento forte da parte della società, una spesa non indifferente per una provinciale che aveva visto la serie A soltanto una volta nella sua storia. La proprietà aprì il portafoglio e si assicurò giocatori di esperienza e qualche giovane interessante: firmarono gente come Bucchi, Baggio (no, non quello forte ma l'onesto Dino) e Pandev. A prima vista la rosa non pareva entusiasmante e il cammino della squadra fu subito costellato da valanghe di goal incassati, pareggi striminziti e prestazioni imbarazzanti. L'allenatore Menichini fu sostituito dal più navigato Sonetti ma la musica non cambiò. La squadra era mestamente sul fondo della classifica con tanti punti quante erano le effettive chance di salvezza.   [caption id="attachment_9042" align="alignright" width="215"] «Tre settimane e sarò in forma», Mario Jardel[/caption] Arrivò il mercato di riparazione, Gennaio: l'albero sotto il quale avevamo effettuato l'asta era carico di neve, faceva freddo. Organizzammo l'asta a casa di uno dei partecipanti e tagliammo alcune ciofeche che avevamo acquistato sotto il solleone di Agosto. Arrivammo agli attaccanti e uno di noi, per ironia l'ultimo in classifica, chiamò Jardel. Avevo sentito parlare di lui, ricordavo le valanghe di goal segnate in Portogallo e non mi capacitavo del suo arrivo in una squadra spacciata. Partì una breve asta, le classiche chiamate di disturbo fini a se stesse, e l'ultimo in classifica si portò a casa il brasiliano. Il suo destino era già tragicamente segnato. Il Dio del calcio aveva programmato per Jardel una fine sportiva a tratti imbarazzante. Il suo esordio fu di quanto più assurdo potesse capitare: la partita Ancona-Vicenza, il bianco-rosso il colore di entrambe le squadre. Jardel corre verso la curva, felice come un bambino. Partono fischi, titoli poco decorosi e anche qualche oggetto: aveva corso sotto la curva sbagliata, e quando glielo fecero capire la frittata era fatta. Il suo stato psicologico non era dei migliori, cosiccome la forma fisica: pareva un corazziere ingrassato, un amatore. Le poche prestazioni furono talmente negative che nella sfida contro la Roma i suoi stessi tifosi appesero un eloquente striscione a lui dedicato con un'unica scritta, ma molto eloquente: Lardel. Arriva Galeone in panchina, non può certo fare miracoli, la squadra termina con 13 punti. Serie B. Anzi no, le spese effettuate sono state ingenti ed il bilancio è in rosso: la storia dell'Ancona si spegne come i sogni di gloria di Jardel che durarono solo 270 minuti. 2011: ormai è l'ottavo anno di fantacalcio, siamo tutti più grandi, ormai l'asta si fa comodamente seduti in un bar davanti a portatili, fogli excel e le strategie più disparate. C'è meno magia rispetto al passato ma la voglia di scommettere su qualche giocatore sconosciuto rimane. Resta il desiderio di puntare allo sbarbatello di turno per poi vantarsi a fine campionato.   [caption id="attachment_7935" align="alignleft" width="300"] Ciccio Bomber...ehm Muriel...ai tempi di Lecce
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